Fino a qualche anno fa la scuola, l’università erano detentori per eccellenza del sapere e il loro scopo principale era quello di diffonderlo, attraverso gli insegnanti, che lo facevano impartendo lezioni, redigendo dispense, avviando alla consultazione di libri.
Quel ruolo, che potremmo definire di «facilitatori», al giorno d’oggi è assai meno attuale e ancor meno esclusivo, poiché con la rete Internet e con il web l’accesso al sapere è immediato, alla portata di tutti, sempre, in ogni occasione, momento.
Il vero problema allora è diventato come rapportarsi nei confronti del sapere, non come accedervi.
La tecnologia applicata alla comunicazione ha messo in scacco i mediatori che facevano da filtro. Ciò non significa che non abbiamo più bisogno di mediatori o che essi non abbiano più un ruolo, bensì che i mediatori devono mettere a disposizione la loro esperienza per aiutare a rapportarsi con il sapere, a capire non cos’è, ma cosa me ne faccio.
È così che si entra in un ambito prettamente educativo, cioè di accompagnamento, non di conduzione.
Il mediatore – sia esso l’insegnante, il professore, il sacerdote, il medico – svolge il ruolo proprio dell’adulto, adulto inteso non tanto come colui che ha già fatto e che sa, piuttosto colui che ti sta accanto, ti accompagna a scoprire, a fare esperienza piena, consapevole, per comprendere a fondo ciò che si sta apprendendo.
Paolo Maria Ferrari
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